Ho appena finito di leggere “Il mistero di Elsie Vane”, pubblicato a giugno dalla Mondadori nella sua più prestigiosa collana dedicata ai classici, scritto da Anthony Berkeley nel ’27, terzo libro della serie che vede come protagonista lo scrittore-giornalista-detective dilettante Roger Sheringham.
Anthony Berkeley appartiene a buon diritto, non solo cronologicamente, agli autori dell’età dell’oro del giallo, periodo che copre gli anni venti e i trenta, per giungere fino alla seconda guerra mondiale, e che vide la fioritura di quei molteplici talenti che hanno portato pienamente a compimento il processo di elaborazione dei canoni del giallo classico, nel solco tracciato dal grande Conan-Doyle.
L’autore, in particolare, si distingue per la leggerezza, il garbo e il sottile umorismo che pervade le sue opere, piene di un’ingenuità che se a tratti può farci sorridere (vedi l’uso e l’abuso di termini come “somaro” o di espressioni come “spiccare un mandato”) non manca, tuttavia, di commuoverci.
A parte questo, il giallo è ben scritto e interessante, pienamente rispondente alle aspettative di chi apprezza questo genere letterario, e la soluzione risulta ben congegnata e plausibile.
L'ambientazione è quella "classica" e un po naif del giallo inglese, un paesino dell'Inghilterra rurale che sorge a ridosso di una scogliera, su cui si svolge gran parte dell'azione, circondato da una campagna di prati verdi e fiorellini.
Non scendo più in dettaglio in questa mia “recensione” per ovvi motivi; posso solo dire che a me il libro è piaciuto e che vale la pena di leggerlo, dal momento che non si vive (purtroppo) di solo Holmes. |
